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Film

Solidare

Il cinema aiuta a dare voce alle nostre parti mute

Non c'è come un film, una scena o un dialogo sul grande schermo per illuminare qualcosa di noi che fino a quel momento era avvolto nel buio. Qui di seguito segnaliamo le opere che dall'inizio di quest'anno ci hanno maggiormente colpito.

Commedia
FULL TIME di Eric Gravel
PARIGI, TUTTO IN UNA NOTTE di Catherine Corsini

Animazione
FLEE di Jonas Poher Rassmussen

Biografici
SPENCER di Pablo Narrain
BELFAST di Kenneth Branagh
ENNIO: IL MAESTRO di Giuseppe Tornatore
IL TEMPO RIMASTO di Daniele Gaglianone

Drammatici
NOI DUE di Nir Bergman
TROMPERIE L'INGANNO di Arnaud Desplechin
SETTEMBRE di Giulia Steigerwalt
LUNANA IL VILLAGGIO ALLA FINE DEL MONDO di Pawo ChoyningDorji
UN ALTRO MONDO di Stéphane Brizé
IL MALE NON ESISTE di Mohammad Rasoulof
L'ACCUSA di Yvan Attal
UNA FEMMINA di Francesco Costabile
PICCOLO CORPO di Laura Samani
AFTER LOVE di Aleem Khan
STRINGIMI FORTE di Mathieu Almaric
UN EROE di Ashgar Farhadi
E' ANDATO TUTTO BENE di Francois Ozon
MY DRIVE CAR di Ryûsuke Hamaguchi

Nel documento in allegato abbiamo selezionato alcuni film vecchi e nuovi, e li abbiamo suddivisi per argomento. L'elenco risente di una inevitabile soggettività e ovviamente alcuni titoli possono fare riflettere su più argomenti, oltre a quello indicato.

La dea fortuna

di Ferzan Ozpetek con Stefano Accorsi, Jasmine Trinca e Edoardo Leo

La dea fortuna

La Dea Fortuna è un film del 2019 vincitore di due David di Donatello. Ozpetek è nato a Instabul nel 1959 e ha studiato in Italia Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma nel 1978, lavorando sin da subito con registi importanti. Il grande pubblico lo conoscerà per i suoi personaggi complessi ed emozionanti con il film Le fate ignoranti (2001) che farà il giro dei cinema più importanti del pianeta, passando ovviamente, per Cannes e Berlino.
Durante un'intervista Ozpetek ha dichiarato ”Io mi innamoro dei miei attori”, e questo credo che il pubblico lo percepisca in ogni suo film, in ogni scena, curata sempre in ogni dettaglio, dove traspare una relazione tra il regista e l’attore e si coglie la reciprocità tra questi, come se anche l’attore cerchi lui sulla scena. E’ sempre una danza dentro la trama, che procede e di colpo parte una musica, la più azzeccata, scelta apposta per loro e per il pubblico, che viene coinvolto alla ricerca del proprio innamoramento. E’ così anche con La Dea Fortuna dove in un condominio, a Roma, vive un gruppo di amici, non si sa se erano amici già da prima o lo sono diventati dopo, ma lo sono.
Durante la celebrazione di una festa a casa di Alessandro e Arturo, una coppia in crisi da tempo, arriva Annamaria. La donna, loro amica da quindici anni, ha con sè una piccola borsa e i suoi due bellissimi bambini, che affida alla coppia per tre giorni, o forse inconsapevolmente li affida a tutto il colorito gruppo, per sottoporsi ad alcuni accertamenti in ospedale.
Tutti gli invitati guardano Alessandro e Annamaria, sono incuriositi dal loro abbraccio, tutti capiscono che sta per accadere qualcosa che ha a che fare con l’amore, ma non sanno ancora bene cosa, e iniziano piano piano a presentarsi a questi bambini, al nuovo, e delicatamente e in punta di piedi si raccontano. Sarà l’inizio di un incontro, che porterà tutti a rimettere in gioco nuovi equilibri, a far riflettere sul senso dell’amore e sui grandi temi della vita. Cos’è l’amore? Quello tra Ginevra e Filippo che si innamorano tutte le volte che si incrociano nella loro giornata e si scelgono ad ogni sguardo ancora e ancora? Qual è la nostra casa? Quella che scegliamo di abitare o quella dove possiamo trovare il nostro spazio per esprimerci? E la nostra famiglia? Sarà forse il luogo dove ci sentiamo amati al di là di ogni legame di sangue? Un pò come questa coppia, quella di Alessandro e Arturo, che si ritrova a rischiare la morte in mare aperto, ma viene salvata da due bambini che necessitano di una casa o forse, meglio ancora, di un condominio e di una famiglia che può amarli ancora e superare la perdita più grande e dolorosa della loro vita?
Credo che Ozpetek abbia fatto una ricerca analitica superba dei personaggi e della struttura del film: tutto è al suo posto, lì dove dovrebbe essere, e lascia ad ognuno lo spazio di trovare il proprio posto per dare un senso alla parola amore, alla parola casa, alla parola famiglia. Libera tutti dall’armadio, lascia lo spettatore libero di andare alla ricerca dei propri punti di riferimento, ma solo dopo essersi lasciato andare all’imprevisto, all’inevitabile, alla pioggia che arriva e che si può solo accettare. 
L’ambientazione si sposta ad un certo punto in Sicilia, e Ozpetek sceglie anche qui di non far muovere i personaggi con l’aereo per raggiungere l’isola, ma la nave. Non brucia il tempo, non si muove con la frenesia della contemporaneità. Ci vuole tempo per capire certe dinamiche e superare certi dolori. Fa fare la traversata in mare perchè è lì dove la notte diventa giorno, dove il mare buio ci fa sentire persi ma poi ci fa intravedere la terra, che si può cogliere la speranza di poterci ancorare a noi, a ciò che abbiamo dentro e all’altro che esiste dentro di noi.
Nel sito Archeologico dove lavorava Annamaria, si trova la statua della Dea fortuna, detentrice di un “trucco magico” che la giovane donna insegna ai suoi figli, utile proprio per portare per sempre le persone con noi, al di là di ogni orizzonte. Ma ascoltatelo nel film...

Marilyn ha gli occhi neri

di Simone Godano con Stefano Accorsi e Miriam Leone

Marilyn ha gli occhi neri

E’ un film sulle problematiche psichiche che non scivola mai sulla retorica, non ridicolizza e soprattutto apre uno sguardo alla speranza, al futuro e quelle possibili trasformazioni che si schiudono quando le persone, anche se attraversate da forti problemi e disagi, si incontrano, si raccontano e lavorano per costruire qualcosa insieme.

Diego (Stefano Accorsi) con i suoi tic e le sue ingestibili accensioni con urla e strepiti incontra Clara (Miriam Leone) una ragazza mitomane, fragile e irrimediabilmente bugiarda, in un gruppo di riabilitazione  forzata di un day hospital condotto da uno psichiatra che tenta, nel dar loro il  progetto comune di cucinare insieme per gli anziani di quartiere, di liberarli dalla concentrazione su di sé e di aiutarli a recuperare la parte  migliore di sé verso un futuro possibile. I due personaggi, Diego e Clara, litigano, si comprendono, non si giudicano, e forse si ameranno, accettando poi la sfida di aprire un ristorante, mentre gli altri personaggi del gruppo con le loro caratteristiche peculiari: timori persecutori, litigiosità paure e incapacità di contenersi, riusciranno a costruire uno sfondo umano delicato e armonico, pur nella loro perturbante disarmonia.
E’ un film che ci fa sorridere, con leggerezza e con un po’ di amarezza, ma anche con quella calda consapevolezza che l’incontrarsi in gruppo e  poter condividere con umiltà le proprie difficoltà riesce spesso a trasformare i punti deboli in risorse affettive e vitali…

Il silenzio grande

di Alessandro Gassman con Margherita Buy, Massimiliano Gallo

Il silenzio grande

Una grande villa in vendita che si affaccia su Ischia, nella Napoli degli anni Sessanta.
La abitano un padre, scrittore di successo che non vuole cedere alle lusinghe e ai guadagni offerti dai media, la cui ostinazione porta la famiglia sul lastrico; una madre, tremula figura che si aggira per casa smarrita e che ogni tanto innaffia un bonsai clamorosamente stecchito, al centro delle attenzioni goffe di uno spasimante; un figlio schiacciato dalla figura paterna, al quale rivela finalmente di essere omosessuale; una figlia, anch’essa vittima della fama del padre, che si accompagna a uomini maturi per provare a essere una figlia desiderata, e che rimane incinta di uno di loro. E poi c’è una governante, anima schietta e debordante di saggezza popolare, che ingaggia frequenti dialoghi con l'uomo, che è sinceramente aperto di mente, ma sembra asserragliato nella sua stanza piena di libri, dove implora di essere lasciato in pace per scrivere un nuovo romanzo.

Parafrasando La stanza del figlio di Moretti, si potrebbe dire che tutto il film di Gassman ruota intorno alla stanza del padre, densa di ricordi, polverosa, dove anche i colori virano sui toni cipria, sembrano sfumati, dove i libri sono accatastati con un ordine tutto personale stabilito dall’intensità emotiva del testo. Nei libri c’è tutto, noi siamo i libri che leggiamo, ma poi la governante è lì per ricordare che c’è anche dell’altro, ed è lei che spiega il titolo del film quando dice che ci sono tanti silenzi piccoli, tanti non detti, che a un certo punto diventano dei silenzi grandi, non più esprimibili.

La stanza del padre diventa il centro della casa, il luogo dove i personaggi entrano, si confrontano, e la sensazione è che parlino per sé stessi, senza mai guardare in faccia il padre. Padre che sembra non capire bene cosa succede, frastornato, stupito e allibito dalle accuse e dalla rabbia inaspettata che i familiari gli gettano addosso: subisce e non capisce, tutti entrano nella sua stanza e spengono la radio che lui ascolta.

Più il film procede più si apre a molteplici significati: la centralità della figura paterna, ma anche la perdita della sua rilevanza, e per ultimo la morte, lo svanire delle certezze, anche quelle dello spettatore, che alla fine è chiamato a rileggere tutto il film da un’altra prospettiva che nulla toglie, anzi arricchisce, il racconto. Ci si muove in una dimensione onirica, con inaspettati siparietti divertenti e battute fulminanti, corrosive, ironiche. La stanza del padre sarà l’ultima a essere svuotata dalla moglie, lasciandola ancora piena di desideri, di sogni interrotti, di vuoti, di speranza e di vita.

5 per 1000

La solidarietà che non costa

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Cod. Fisc. 04917500961

Solidare, società cooperativa sociale ONLUS

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